mercoledì 7 marzo 2012

No-Tav. Val di Susa, un esempio da imitare…

di Umberto Bianchi
minorenzaglia

no-tav_fondo-magazineIn un’Italia sempre più narcotizzata e lobotomizzata da grandi fratelli, da ipocriti solidarismi in salsa buonista e da un continuo martellamento catastrofista per cui, “o si fa così o si muore” ovvero, o si accettano passivamente e codinamente tagli, gabelle, degrado, miseria e sfruttamento o “si muore”, ovverosia i grandi centri del potere economico finanziario, via via interpretati da vari attori e comparse( quali Francia, Germania, Gran Bretagna, Usa, Israele, FMI, Nazioni Unite e via via tanti altri ancora…), non realizzano i propri profitti e puntano i piedini ed allora sono guai grossi per tutti. Guai che vanno dagli ostracismi davanti ad una pubblica opinione ammaestrata al politically correct, sino alle sanzioni, ai sabotaggi, arrivando alla vera e propria eliminazione fisica del dissenziente, attraverso la detenzione, se di singoli trattasi o, se parliamo di nazioni o intere comunità, attraverso “bombardamenti umanitari”.

Ma, anche nell’Italietta dei Vespa, dei Fede, dei Celentano e delle farfallette di Belèn, della dabbenaggine elevata a criterio di pensiero dominante, bene, anche in questa Italia c’è qualcuno che ha il coraggio di dire “NO”. No ad inquinamento, degrado, miseria, sporcizia, profitti (per gli altri), privatizzazioni di utili a vantaggio di pochi, condivisione di perdite per un’intera comunità…

I folli progetti degli eurocrati che dell’Italia e dell’Europa vorrebbero fare un’unica, immensa, pista asfaltata e chiodata di binari, un lurido cantiere, una nuova discarica a cielo aperto (come ahimè è avvenuto nel Meridione della nostra penisola, vedi “Gomorra”, sic!) alla faccia di bellezze naturali, tradizioni, salute degli abitanti che ci vivono, perché a Bruxelles così han deciso, per far contente le cosiddette “imprese” a cui oramai tutto deve essere indiscutibilmente consentito, quei folli progetti, dicevamo, si sono una volta tanto arenati dinnanzi alla pugnace volontà degli abitanti della Val di Susa, il cui unico, imperdonabile peccato è aver detto di “NO”. E allora urla, botte, lacrimogeni e tante, troppe polemiche.

Ecco il potere, i partiti, i “poli”, usualmente così litigiosi, stavolta stranamente uniti, nel condannare, nel demonizzare, nell’ostracizzare, nel mettere alla gogna, affibbiando definizioni ritirate fuori dai polverosi cassetti della più recente storia italiana. Già qualcuno ha latrato di “terrorismo”, parola che evoca gli Anni Bui ma anche, e specialmente, leggi speciali e criminalizzazioni di italica memoria.

E’ vero: inizialmente il governo nel 2005, ci era andato con la mano pesante, aprendo i cantieri e militarizzando il territorio, distribuendo manganellate a chi, da anni, si batteva contro un progetto folle. Se mobilitarsi e reagire è giusto, non bisogna però, commettere l’errore di cadere nella trappola di un sistema, la cui miglior legittimazione è offerta dalla criminalizzazione del dissenso politico. I film No Global di Genova o di S. Giovanni, a Roma, hanno decretato il definitivo isolamento delle idee antagoniste e la diretta discesa in campo dei rappresentanti dei poteri forti alla Monti, stavolta senza più alcuna mediazione di una politica ridotta a ruolo di muto comprimario di scelte dettate da ben altri soggetti.

La rivolta dei Forconi, i No dal Molin, al pari dei No Tav, le rivolte meridionali contro “a munnezza”, rappresentano tutte il tangibile segnale di un malessere trasversale che attraversa tutti i segmenti della società italiana. A questo malessere l’unica risposta può esser data dalla prassi della democrazia diretta. Lo strumento del referendum, del consulto plebiscitario, anche se a livello locale o, al massimo regionale, dovrebbe essere investito di un valore vincolante per un potere politico che dovrebbe esser messo di fronte ad un preciso aut aut. L’ostinato rifiuto della volontà popolare espressa da una consultazione referendaria, dovrebbe aver per risposta lo sciopero fiscale ad oltranza, ovverosia il rifiuto di pagare qualsivoglia tributo allo Stato, ai Comuni, alle Regioni. L’obbligo giuridico della contribuzione fiscale, dovrebbe automaticamente venir meno nei riguardi di una pubblica autorità che, attenta alla salute, al benessere ed alla sopravvivenza dell’ecosistema dei propri cittadini, attraverso iniziative in tal senso.

Fare di una splendida vallata un polveroso cantiere, sbudellare una montagna, con il pericolo della fuoruscita di polveri velenose,  trasformare un Paradiso in una discarica a cielo aperto alla Gomorra, rappresentano un intollerabile attentato alla salute pubblica ed alla sopravvivenza delle generazioni presenti e future della Val di Susa e non solo.

A questo punto il non  versare più alcuna forma di tributo, non diviene più soltanto una mera rappresaglia politica, ma una risposta dovuta ad uno Stato che attenta alla vita dei propri cittadini. Come si può ben vedere, la possibilità di dare riposte politiche incisive, dure e concrete, esiste eccome. Senza dovere arrivare a sputare ed insultare quei rappresentanti delle Forze dell’Ordine, loro nonostante trascinati lì a far da argine ad una situazione di cui non sono responsabili. Non lasciamo, quindi, alle oche capitoline del sistema l’occasione di criminalizzare, demonizzare ed infine isolare una giusta protesta. E’ un film che abbiamo già visto troppe volte e che non vorremmo più veder ripetuto.

Nel ribadire, la più totale solidarietà alla lotta degli abitanti della Val di Susa, il nostro auspicio è in un deciso salto di qualità nella presa di coscienza, in direzione di quella democrazia diretta, la cui prassi rappresenta la sola via d’uscita ad una situazione altrimenti destinata alla messa all’angolo.

L’esempio della Val di Susa ci dimostra che quello di adesso non è “il miglior mondo possibile” e che si può ancora dire NO. NO alla privatizzazione dell’esistenza, alla mercificazione ed al degrado dell’ambiente. NO all’esproprio delle nostre vite, delle nostre necessità vitali e dei nostri diritti fondamentali, quali salute, previdenza, istruzione, diritto alla casa ed al lavoro.

L’esempio della Val di Susa ci dimostra altresì che non è vero che il nostro ecosistema è destinato ad un’ineluttabile destino di decadimento globale, così come non è detto che i sia pur potentissimi padroni del vapore, massoni, bilderberghiani, trilateralisti ed altri consimili possano riuscire a farla franca, affermando il dominio dell’oro sul sangue. Ancora esiste un retaggio plurimillenario, un archetipo vivente che riaffiora nei peggiori momenti della storia di un popolo o, in questo caso dei popoli, e fa di un anodino insieme di individui un popolo, una comunità di destino. Questo qualcosa si chiama LOTTA e rappresenta il passato, il presente ed il futuro di ogni uomo che voglia dirsi tale.

La lotta rappresenta il Divenire dei popoli e ciò che ne contraddistingue la peculiare natura rispetto a qualunque altro atteggiamento di codina accettazione è la resistenza. Resistenza alla paura, alla protervia, all’infamia, al ricatto, all’inciviltà del capitalismo globale. Per questo senza paura, senza reticenze, ci auspichiamo che per l’Italia, l’Europa ed il mondo sorgano dieci, cento, mille Val di Susa.  Un mondo come questo ha, oggi più che mai, bisogno di simili esempi. Per questo, contro la carogna capitalista ed i suoi servi, contro il prevalere dell’interesse privato sul pubblico, contro l’usura e la predazione, si levi un unico grande grido: ORA E SEMPRE: RESISTENZA! Umberto Bianchi

Fonte: Arianna Editrice 7 Marzo 2012

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